Lorsqu'on sent l'éveil tout proche, mais qu'on n'est pas “dedans”, on a envie d'y “entrer”. Et c'est justement cette envie qui nous maintient “au-dehors”, car elle souligne notre frontière avec ce Tout dans lequel on aimerait s’immerger. En fait, il faut ne pas vouloir y entrer. Il ne suffit pas de ne pas vouloir y entrer: il faut ne pas vouloir y entrer. La passivité ne mène à rien. Il faut être actif, mais une activité entièrement occupée par l’attente — plus encore, entièrement satisfaite par l’attente. Bien souvent, on sent monter en soi une vague dont on pense qu’elle pourrait nous propulser au-delà de soi. Et on se met en tâche de la renforcer. C’est là qu’on gâche tout. Comme si elle avait besoin de notre aide. Quelle arrogance. Et pourtant, elle a besoin de nous. De notre présence. Elle a besoin qu’on soit là, qu’on se tienne face à elle, qu’on croie suffisamment en soi et qu’on s’aime assez pour rester ainsi tout nu face à elle, sans rien lui apporter, que notre seule présence. Tout est là. On est encore face à “rien”, et à ce moment-là, ce qui est, au sens fort, c'est notre attente. Non pas son but, mais l’attente elle-même. Tout le reste, ce sont des projections du désir. De l’évanescent. Mais l’attente, elle, est réelle. Si on parvient à la laisser seule être, à prendre appui sur elle, et non pas sur l'objet qui la soulagerait, on prend appui sur la seule parcelle d'être qu’on a à sa disposition. Aussitôt qu’on le fait, qu'on pose le pied sur la réalité de cette attente, c’est comme si le fond de la conscience cédait, et nous faisait basculer dans l'Être. | Quando sentiamo che il risveglio è dietro l'angolo, ma non ci stiamo "dentro", abbiamo voglia di "entrarci". Ed è proprio questa voglia che ci tiene "al di fuori", perché evidenzia il nostro confine con quel Tutto in cui vorremmo immergerci. In realtà bisogna non volerci entrare. Non basta non volerci entrare: bisogna non volerci entrare. La passività non serve a niente. Bisogna essere attivi, ma di quell'attività tutta assorbita dall'attesa - di più: tutta soddisfatta dall'attesa. Molto spesso sentiamo salire dentro di noi un'onda che crediamo capace di scaraventarci oltre noi stessi. E ci mettiamo con cura a rinforzarla. E' così che mandiamo tutto in malora. Come se quella avesse bisogno del nostro aiuto. Bella arroganza. Eppure ha bisogno di noi. Della nostra presenza. Ha bisogno che ci siamo, che le stiamo davanti, che crediamo abbastanza in noi stessi e che ci vogliamo bene a sufficienza per restare così, nudi davanti a lei, senza portarle nulla al di fuori della nostra presenza pura e semplice. E' tutto lì. Stiamo ancora davanti a "niente", e in quel momento quello che è, nel senso forte, è la nostra attesa. Non il suo obiettivo, ma l'attesa stessa. Tutto il resto sono proiezioni del desiderio. Cose evanescenti. Ma l'attesa, quella è reale. Se riusciamo a lasciarla essere, da sola, ad appoggiarci su di lei, e non sull'oggetto che le porterebbe sollievo, ci appoggiamo sull'unico frammento di essere che abbiamo a disposizione. Appena fatto, appena posato il piede sulla realtà di questa attesa, è come se il fondo della coscienza cedesse e ci facesse precipitare nell'Essere. |